DALL'INDUSTRIA ALL'AUTO

Il problema della purezza dell'aria nasce nel XIX secolo con lo sviluppo della realtà industriale e con l'utilizzo dei combustibili. Sir Percival Pott intuì una relazione causale tra cenere, fumi e il cancro vescicolo-testicolare degli spazzacamini; Londra divenne quindi modello di studio dell'inquinamento atmosferico (il termine “smog” è parola anglosassone composta di “smoke” e fog”, “fumo” e “nebbia”). L'inquinamento “tipo Londra” è caratterizzato dalla presenza nell'aria di alte concentrazioni di anidride solforosa (SO2), frutto dei processi di combustione di carbon-coke e combustibili ad alto tenore di zolfo, gli stessi che si utilizzavano negli stabilimenti industriali di inizio secolo. In quell'epoca era anche relativamente semplice individuare la fonte inquinante - in genere un insediamento industriale – e verificarne le componenti gassose in funzione del materiale o combustibile bruciato; era quindi possibile prevederne o limitarne i danni, essendo l'insediamento una variabile fissa e non soggetta a spostamento.

L’avvento dell'automobile ha complicato la possibilità di controllo della qualità dell'aria, data la mobilità intrinseca della fonte di emissione, rendendo difficile calcolare la quantità di immissione e controllarne l'impatto. Oggi viene enfatizzato il ruolo dell'automobile come fattore inquinante e le vengono imputati danni non dipendenti da essa, ma è incontestabile che il traffico giuochi un ruolo determinante. Nell'area urbana a più alta densità di traffico, quella di Los Angeles, lo smog è - dalla fine della guerra - una costante dell'ambiente tale da aver dato vita al termine “inquinamento tipo Los Angeles”, in cui la fonte massima è costituita da scarichi di autoveicoli, caratterizzati non più da anidride solforosa, ma da ossidi di azoto e monossido di carbonio. La terminologia è tuttavia riduttiva perché, grazie a delle normative ad hoc (California Standard 1999), oggi Los Angeles è la prima città del mondo con un parco auto di ZEV (Zero Emission Vehicol). Limitare la questione al traffico urbano è riduttivo quindi, perché la realtà emergente in tutti i paesi – fatta eccezione per quelli, come Mosca, dove l’inquinamento è aggravato dalla componente industriale - è quella di un inquinamento misto, somma della componente autoveicolare e dei camini domestici, entrambi determinanti nella genesi della cappa di calore, elementi che concorrono a creare liberazione di ozono per reazioni fotochimiche. Negli ultimi decenni la situazione è notevolmente cambiata: dal 1950 al 1980, con l’epoca dell’industrializzazione si è registrata la massima concentrazione di anidride solforosa (anni Cinquanta e Sessanta) dovuta a scarichi industriali (80%) e domestici (20%); dal 1980 al 1995  con l’esplosione del parco auto si sono verificate emissioni caratterizzate da Ossidi di Azoto (NOx), IPA e Polveri ( PM10-PTS), Monossido di carbonio (CO); dal 1995 ad oggi, l’introduzione della prima legislazione di contenimento mediante marmitte catalitiche non ha arrestato la prevalenza di Benzene, Ossidi di Azoto e PM10.

Dal 2003 potranno essere immatricolate in Europa solo vetture dotate di EOPD (un dispositivo davvero disinquinante) ma la produzione italiana non è ancora attrezzata per far fronte alle nuove esigenze del mercato. Se da un lato la ricerca sperimentale è attiva verso i motori alternativi, l’industria appare in fase di chiaro ritardo.

I motori alternativi si distinguono in “definitivi” che sono quelli a celle combustibili (e cioè ad idrogeno, ancora in fase sperimentale, la cui produzione potrebbe iniziare solo nel 2010) ed i motori “transitori” quali gli ibridi. Questi sono i motori che, prodotti in Giappone e negli USA, viaggiano con due diverse fonti di energia: un motore diesel, utilizzato per velocità superiori ai 50 km/h, ossia in tratto extraurbano, che alimenta, quando attivo, un motore elettrico che entra in funzione a più basse velocità, in tratti urbani. La limitazione dell’inquinamento è relativa, sia per l’uso del diesel classico sia per la non chiara capacità di smaltimento delle “fonti elettriche” e, comunque, questi motori saranno disponibili sul mercato solo tra tre o quattro anni. La dissennata politica di questi ultimi anni in tema di traffico e di sviluppo industriale, l’assenza di finanziamenti per la ricerca ( solo lo 0,6% del PIL, contro il 2,7 della Germania, 2,5% della Francia e dell’Inghilterrra) hanno portato alla situazione di caos attuale. Abbiamo più volte denunciato in questi anni la pericolosità della situazione, sia sotto il profilo del traffico - che, riducendo la mobilità, riduce la produttività della città che si basano sul terziario come Milano e Roma - sia la gravità per la salute dei cittadini e soprattutto dei lavoratori a rischio (Vigili Urbani, addetti alla distribuzione dei carburanti, Operatori Ecologici, esercenti al dettaglio nella strada).

L’aver contato sui dispositivi catalitici è stato un relativo fallimento che richiede adesso riparazione per tutti i cittadini che hanno speso i loro risparmi per cambiare auto ed adesso si trovano bloccati dalle targhe alterne.

Per quanto concerne le emissioni di gas, il catalizzatore è lungi dall’essere la panacea: l’abbattimento dei gas tossici è al 90% sul monossido di carbonio ed all’80% sugli ossidi di azoto, all’uscita dalla fabbrica, ma subito dopo degrada; l’aggiunta, nella benzina verde, di Metil ter butiletere (MTBE) ed etil ter butiletere (ETBE) determina una liberazione di Formaldeide ed Acetaldeide; aumenta anche il protossido d’azoto che è uno dei gas più irritanti per l’apparato respiratorio. Basti pensare che in piena era catalitica, nel 1992 le emissioni di NOx erano di 1100 migliaia di tonn. e nel 1997 si sono ridotte appena a 900 migliaia.

Inoltre il catalizzatore richiede alcuni requisiti quasi mai rispettati: un parametro è quello del light-off, che è la temperatura del gas reagente all’ingresso nel catalizzatore, momento in cui avviene il 50% della conversione degli inquinanti. Nei primi minuti si ha l’emissione in atmosfera del 60-80% della massa degli idrocarburi. Le cosiddette partenze a freddo aumentano le immissioni in atmosfera; le accelerazioni e le brusche decelerazioni hanno un effetto negativo sul funzionamento del catalizzatore, con la conseguenza che il 10% di vetture mal usate provoca un peggioramento del 50% in termini di emissioni. Senza contare gli olii lubrificanti, che contengono fosforo, zolfo e zinco, elementi che, come l’impiego erroneo di benzina con piombo, ledono il catalizzatore.

La vita media del catalizzatore è di appena 40-50 mila km, tanto che è da contestare la facoltà di circolazione in Centro Storico per le vetture immatricolate dal 1992 a quelle 1995 che sono già sui 100 e 70 mila km.

IL BIODIESEL

La situazione generale del mercato vede una notevole impennata di interessi nell'opinione pubblica sulla possibilità di impiegare carburanti provenienti da oli di origine vegetale in sostituzione di quelli minerali. Vale a dire che se oggi fosse disponibile sul mercato italiano olio vegetale (biodiesel, ovviamente venduto nelle stazioni di servizio insieme agli altri carburanti con la stessa facilità di reperimento), da impiegare al posto del gasolio, un elevato numero di clienti sarebbe disponibile a convertire il proprio mezzo. Non va dimenticato che la coscienza ambientalista dei cittadini negli ultimi anni è cresciuta notevolmente e ciò ha portato a una modificazione dei consumi anche in altri settori (vedi gli alimenti provenienti da coltivazioni biologiche).

Almeno in tre situazioni l’utilizzo di biodiesel è oggi già possibile e auspicabile: nei trasporti pubblici, nei mezzi delle aziende pubbliche e private, negli impianti di riscaldamento e nelle centrali elettriche.

Va considerato che nelle auto più recenti, di norma, non sono necessarie modifiche; nei camion con motori più grandi e con sistemi di combustione più complessi è sufficiente una modestissima modifica per il recupero dell'olio incombusto. L'impiego di tale prodotto, meglio se puro al 100%, contribuirebbe in maniera certa sulla riduzione di inquinamento urbano dovuto alla combustione dei derivati del petrolio, come provano le analisi effettuate su automobili e camion dal CNR di Pisa, che hanno evidenziato una riduzione dei particolati in una percentuale compresa tra il 50 e l'80% con l'impiego di biodiesel 100% piuttosto che gasolio.

Le emissioni di CO2 dovute alla combustione del biodiesel puro si bilanciano con l’anidride carbonica prelevata dall'ambiente in fase di crescita dei vegetali. Oltre al vantaggio dato dall’eliminazione nel combustibile dei derivati dello zolfo, è da notare che per l’olio di colza il limite di infiammabilità è di 150° C, con minori rischi di trasporto e stoccaggio (gasolio 50° C).

Nell'ottica di potenziali sfruttamenti delle aree marginali (quando possibile e conveniente) e come coltivazioni di colture alternative, contribuirebbe inoltre ad incentivare la produzione agricola. Oggi il mondo agricolo soffre di una crisi generalizzata soprattutto sul piano delle scelte colturali (definite nella qualità e nelle quantità da accordi UE). La produzione di oli vegetali destinati al no food potrebbe rivestire un ruolo interessante per il set aside. Attorno a tale innovazione si potrebbe fornire un aiuto all'occupazione in agricoltura di nuovi imprenditori per far funzionare la filiera (fasi di coltivazione, raccolta, lavorazione, trasformazione, distribuzione, ecc.).

Ma esistono delle limitazioni alla produzione di colza a causa di una sorta di “contingentamento” della produzione di biodiesel, anche se alcuni provvedimenti dell’ultima finanziaria permettono di superare tali ostacoli. Le Leggi e gli strumenti amministrativi non sono adeguati allo sviluppo di un sistema innovativo, ma entrato da poco nel mercato italiano (in Germania esistono 1.200 colonnine di rifornimento per il pubblico, in Italia nessuna). Inoltre il DM 137 del 13 /11/98 obbliga i Sindaci di città con popolazione superiore a 100 mila abitanti ad utilizzare biodiesel per i mezzi pubblici, ma nessuno lo ha fatto. Così come in una città come Firenze solo l’8% dei veicoli si sottopone alla revisione obbligatoria annuale (bollino blu), a Roma il 4% a Milano il 12%.

 

SCHEDA:

I DANNI DA BENZENE

Un altro danno tossico da gas di car exhaust è il danno da benzene. Il benzene appartiene ad una categoria di composti fenolici aromatici, prodotti della raffinazione del petrolio; è generato, anche in forma di alleli (benzoantracene, benzopirano, benzopirene, dalla combustione dei derivati del petrolio, poi raffinati (benzine, kerosene, etc.). Tuttavia nelle autovetture dotate di catalizzatore, l’utilizzo di benzine addizionate da benzene (fino all’1% come da legge, ma fino a qualche anno fa fino al 4-5%) comporta la dispersione di tale sostanza nell’ecosistema in alte quantità. La conseguenza è un danno a lungo termine per l’attività cancerogena del benzene e per la sua proprietà di generare leucodisplasie fino alla leucemia mieloide. L’esposizione protratta ai polluttanti, specie per quanto attiene ai bambini, comporta un rischio grave di malattia respiratoria (la cosidetta Lung Injury) che è tanto maggiore quanto più è piccolo il bambino e quanto più l’esposizione è protratta nel tempo.

Respirare l’aria urbana equivale a respirare una media che va da 15 a 40 mg di benzene, che è similare, nella struttura e nei danni evocati, a composti quali benzopirene e benzoantracene combusti nel fumo di sigaretta. Ossia respirare aria urbana significa fumare qualche sigaretta.

I DANNI DA SMOG

 Le malattie da smog possono essere considerate una variante della Malattia Ostruttiva Polmonare Cronica e quindi inserite nel grande capitolo dell’Asma Bronchiale, Bronchite Cronica-Enfisema Polmonare. Ma le ultime deduzioni nosografiche (Ferrara et al. 1998) indicano nell’apparato nasale un bersaglio d’elezione con insorgere di malattie locali ( Rinite Vasomotoria ) e di manifestazioni allergiche ( Rinite ed Asma allergici).

Nel decennio 1979-1989 le allergie colpivano il 15% della popolazione italiana, oggi nel 2000 sono a quota 21% e tendono a salire; nel decennio 1979-1989, la popolazione di asmatici era pari a 2,45 milioni di italiani, oggi ne sono colpiti 3,2 milioni; nel decennio 1979-1989 la popolazione di Bronchitici Cronici era pari a 1,8 milioni oggi è pari a 2,5 milioni. Stime recenti indicano che ogni anno 15.000 persone muoiono di malattia da smog e 20 mila sono i ricoveri italiani annui per le urgenze respiratorie.